Saluto alla vacca

 Il 15 agosto, dopo una scomoda notte in tenda, alle sei ero già sveglia e così in mancanza di sole, ho fatto qualcosa di decisamente più originale, il saluto alle vacche. Subito mi è salita un po’ di tristezza perché molto probabilmente, primo o poi le affascinanti vacche del Catria finiranno nei nostri piatti e dopo una cottura media, olio e sale, ci scorderemo di quanto erano belle e libere nei campi. Non hanno nome ma numero all’orecchio e per noi sono tutte uguali, senza emozioni.  Poi però ho pensato che probabilmente io non sono molto diversa da quella vacca, ovviamente non nell’accezione erotica/fisica che alcuni potrebbero cogliere dalla similitudine, piuttosto per la marchiatura numerica che in questo momento tutti implicitamente abbiamo. Sono un numero, una variabile che può rientrare in diverse statistiche e categorie: in quella delle donne, in quella degli studenti, in quella di chi beve il caffè amaro, in quella di chi si alza tardi, in quella della vacanza italiana per il 2020 e forse anche in quella di chi un giorno pagherà il costo di questa crisi (a patto che il prezzo più alto di questa assurda narrazione non lo abbia già pagato chi quest’estate non l’ha vissuta). Posso apparire in varie asettiche tabelle prive di accenno alle emozioni. Io però  con l’arrivo dell’estate son tornata ad uscire, ridere, amare e cantare (cosa che il mio fidanzato non ha gradito) ma ho anche avuto paura dell’incertezza, di rimanere di nuovo bloccata lontana da chi amo e un po’ anche dei miei coetanei (e non) che con vena complottista hanno vissuto questi mesi non curanti dei suggerimenti per evitare di nuovo la fila per il lievito o le dirette di Conte il sabato. Tutti abbiamo cercato di godere questa artificiosa normalità e sicuramente in questo circo dell’assurdo tutti siamo stati spettatori e artisti di uno spettacolo del quale adesso dobbiamo pagare il biglietto. Insomma, detto ciò non so se preferirei essere una vacca da latte o da carne ma a questo punto non so neanche se la vacca vorrebbe essere me, perché alla fine la sua sorte è triste ma sicura, la mia è piena di incognite e non oso immaginare quale piatto statistico un giorno accoglierà la mia variabile


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