Ieri sono andata al supermercato ed ho comprato il lievito. Mentre
aspettavo di pagare alla cassa ho capito che qualcosa non andava e che forse
stavo affrontando con troppa ansia l’attesa della diretta di Conte. Alla fine è
andata bene, dobbiamo solo essere tutti un po’ Cenerentola e rientrare in casa
per le 23, frequentare al massimo sei amici (ma chi ce l’ha più di sei amici –
sinceri – finito il liceo?) e non fare attività fisica a stretto contatto. A
proposito dell’ultima questione io sono serena perché nonostante i miei
numerosi tentativi di iscrizione in palestra, quest’anno mi sono totalmente
arresa in partenza, declinando questa scelta alla paura per il covid ma in
realtà è pura pigrizia. Adoro le sere film, copertina e tisana, quindi il
coprifuoco non mi spaventa ma mentre avevo il lievito in mano in coda alla
cassa della Coop un po’ la paura della solitudine per un eventuale nuovo
lockdown, mi ha afferrato le spalle.
Siamo tutti soli in mezzo a un sacco di persone. Camminiamo per
strada, ognuno custode dei propri pensieri ingombranti in testa, senza
pretendere che nessuno li capisca o li interpreti ma alla fine quando
rientriamo in casa queste idee alzano i volume e risuonano orchestrali nella
nostra mente come un disco senza fine e
non c’è via di fuga da noi stessi.
La solitudine è quel luogo dove chi siamo veramente viene fuori e
per questo può spaventare ed io che sono una premiata regista di film e paranoie mentali ho cercato di far delle mie
ansie una risorsa artistica trascrivendo ciò che mi appesantisce la testa
prima di andare a dormire ma che diventa più sopportabile quando sono con altre
persone.
Dopo la quarantena ho capito che rimanere soli con se stessi può
spaventare perché la normalità ci consente di rifugiarci dietro ad una routine
pomposa fatta a volte di tante piccole azioni sterili e forse neanche troppo
necessarie, progettate proprio per riempire il vuoto lasciato da quello che non
siamo ma che vorremmo essere. La solitudine ti obbliga ad una autoanalisi che
fa cadere ogni maschera e menzogna, placebo per le nostre insicurezze. Insomma
quando ci presentiamo siamo abituati a dire il nostro nome e ciò che siamo oggi
perché sarebbe strano farci conoscere per ciò che vogliamo diventare o che non
abbiamo fatto in tempo ad essere. Ma nel silenzio della nostra casa conosciamo
bene la nostra identità e nessuna sontuosa presentazione ci salverà dal nostro
soggettivo esame di coscienza.
Personalmente però, devo ammettere che la solitudine non mi
spaventa troppo perché negli anni ho imparato ad essere la migliore amica di me
stessa e confesso che ogni tanto parlo anche da sola. Il problema è che non
sempre mi do’ ragione ma fortunatamente per questo non mi è ancora stato attivato
nessun TSO a mio nome.
Ieri ho comprato il lievito e penso che questo fine settimana farò
la pizza, cosa che ho imparato a fare in questi anni e credo mi venga anche
abbastanza bene, poi però attualmente non so cos’altro so fare con lo stesso
orgoglio con cui guardo il mio impasto lievitato. Forse so scrivere ma non ne
sono certa, forse so parlare ma non sono una abile oratrice per qualsiasi
argomento.
Alla fine però ho pur sempre una laurea e nel giro di un anno circa spero di prenderne
anche un’altra e non devo neanche
dimenticarmi che ho appena compiuto 23 anni durante l’anno peggiore dell’ultimo
decennio ed in questa situazione, neanche il più raccomandato riesce ad avere
delle solide garanzie per il futuro.
Sono fortunata però perché alle spalle ho una base solida, una
famiglia che crede in me e quelle poche persone che camminano al mio fianco nel
percorso della vita, non perdono mai occasione per ricordarmi che posso ambire
a diventare qualcuno.
Il problema è che forse la prima a non avere tanta fiducia in se
stessa sono proprio io ed è per questo che faccio la pizza il fine settimana e
mi vanto di saper fare quella e nient’altro. Sono convinta però che questa
mancanza di autostima non sia da attribuire alle sfumature del mio carattere,
quanto piuttosto al contesto nel quale mi sto allenando a diventare adulta e
tutto questo l’ho capito proprio da sola nel silenzio della mia camera dopo
aver spento la luce ed i rumori della quotidianità.
Alla mia età si possono fare sicuramente grandi cose ma io faccio
pur sempre parte di quella generazione che per un pelo non ha preso gli 80€ di
Renzi e con altrettanta fortuna si è vista passare anche davanti il bonus
cultura di 500€ ed è per questo che mi sento un po’ la moglie cornuta di questo
Stato infedele che da un po’ mi tradisce con una generazione più giovane e
forse anche più bella.
Noi del 97’ (e non solo) siamo quei ragazzi che nel gioco a premi
della vita ha pescato il pacco imprevisti di “Affari tuoi” e quindi adesso come
è giusto che sia sono affari nostri (o meglio cazzi nostri).
A questo punto della storia, sembra che per comporre la formula
del successo, oltre alla mai banale “botta di culo” basti avere anche
ambizioni, buone occasioni. strumenti e fiducia in se stessi.
Io per ora ho il lievito, spero basti.