Perchè è una brava ragazza
Qual è il momento più imbarazzante per eccellenza che possa capitare?
Stamattina sono riuscita rispondere a questa domanda: è il suono dell’allarme al supermercato che immediatamente insinua il dubbio tra tutti i presenti che tu possa aver rubato qualcosa.
Il cassiere si blocca, mi fissa e mi dice: “signorina si fermi là che dobbiamo controllare” e allora comincio a pensare a tutto ciò che ho nella borsa di imbarazzante che dovrò iniziare a tirar fuori e non appena l’ispezione comincerà. Nulla di diverso dai controlli dell’aeroporto, ma è il contesto che ti spiazza. La signora con i kiwi in mano dietro di me, mi osserva, accusandomi già di essere colpevole di un furto, invece il ragazzo alla cassa accanto mi guarda intenerito, perché palesemente a lui è successa la stessa cosa di recente e vorrebbe urlarmi “stai tranquilla finirà presto“. Arriva il direttore e insieme a lui una cassiera donna e allora penso: “stai a vedere che hanno chiamato una donna per perquisirmi anche addosso“.
Intanto ragiono su cosa dire a mia discolpa nonostante la mia palese innocenza. Tutti mi guardano però e questo mi ricorda inevitabilmente un altro momento molto imbarazzante che ogni anno lo stesso giorno si ripete: il momento in cui ti cantano “tanti auguri a te tanti auguri a te” il giorno del compleanno. In quel momento non so mai che dire. Ringrazio ma non vedo l’ora che finisca la canzone ma poi a sorpresa parte anche: “perché è una brava ragazza, perché è una brava ragazza“ e i sensi di colpa salgono immediatamente.
Gli invitati cantano e battono le mani e tu pensi al parcheggio in doppia fila della mattina con una ruota mezza nel posto dei disabili, per andare a ritirare un pacco al volo alle poste, oppure a quella volta che non ho fatto sedere la vecchietta sul pullman perché mi facevano male i piedi, o quando ho dubitato che il mio vicino mi rubasse il Wi-Fi. Non sono sicuramente una criminale ma l’elogio alla mia bravura fa sempre vibrare la corda dei gesti di maleducazione che tengo ben nascosti insieme alle foto del periodo semi emo della mia vita pre-adolescenziale.
Intanto il direttore mi chiede se posso aprire lo zaino e ovviamente comincio con lo spoglio dei miei oggetti: il primo ad uscire è come sempre l’assorbente che desta ogni volta un certo imbarazzo nonostante sia una cosa più che normale. L’estrazione continua con il portafoglio, le chiavi, le cuffiette, gli occhiali, la tessera della spazzatura per aprire il cassonetto (unica nota di gioia poiché la stavo cercando da mesi e ormai l’avevo data per dispersa) ed infine passiamo alla prova del nove.
“Signorina provi a ripassare“
Con le mani in alto, a ribadire la mia innocenza, riparto con la sfilata tra la cassa e il sensore. Suona di nuovo. Mi giro per cercare di capire dove èl’inganno e vedo Franca Leosini già pronta a voler sentire la mia testimonianza da ladra reo confessa. Strizzo meglio gli occhi e sfido la mia miopia cercando di guardare bene. Non c’è nessuna Franca Leosini, è sempre la signora con i kiwi in mano dietro di me che sta aspettando di pagare; ormai l’imbarazzo è così tanto che mi sta accecando.
La commessa decide allora di tirar fuori le poche nozioni di criminologia, approfondite dopo aver visto tutti gli episodi di Don Matteo.
“Signorina proviamo a togliere la giacca“ tolgo la giacca e riprovo. Suona ancora.
Sono pronto a dire: “ basta chiamo il mio avvocato“ non pensando che io un avvocato non ce l’ho e l’unica persona che posso chiamare è il mio fidanzato in procinto di laurearsi in giurisprudenza ma non è sicuramente sufficiente.
A quel punto decido di adottare la tecnica metal detector: mi tolgo qualsiasi cosa in ferro: orologio, orecchini, cintura, scarpe e rimango avvilita davanti ai controlli, pronta a riprovare di nuovo a passare vicino al sensore. La commessa mi fissa e intanto io penso che nonostante la mascherina davanti alla bocca, il mio corpo in quel momento sia scoperto contro ogni minaccia batterica e che la sera per pulire i calzini con cui stavo camminando sul pavimento del supermercato, avrei dovuto bruciarli per essere sicura di disinfettarli bene. Passo di nuovo e finalmente non suona. Mi giro per vedere se la signora con i kiwi in mano avesse sempre lo sguardo minaccioso pronta a colpevolizzarmi, non esigo delle scuse ma almeno un ghigno diverso sì. Il ragazzo della cassa vicino intanto mi guarda e mi sorride con gli occhi come per dire: “te l’avevo detto“.
Rimetto lo zaino in spalla, prendo la borsa e mi incammino verso l’uscita.
Alt! Suona di nuovo.
Basta mi arrendo non voglio più la spesa, non voglio più il mio zaino, tenetevi i miei occhiali il mio portafoglio ma lasciatemi libera da questa situazione di imbarazzo. Allora di comune accordo con l’accusa ed con il consenso del giudice (il direttore), passiamo a controllare lo scontrino e prodotto per prodotto per vedere se troviamo eventuali antitaccheggio. Quei piccoli pezzettini di carta e metallo che in alcuni negozi nascondono meglio dei trafficanti internazionali con gli ovuli di droga.
Troviamo un’etichetta sospetta, potrebbe essere la causa di tutto questo siparietto che sta rallegrando gli avventori del supermercato. La strappo con le mani riversando su di essa tutta la rabbia accumulata negli ultimi minuti. Riprovo, suona ancora!
Intanto sento già la mia fedina penale sporcarsi e la mia carriera lavorativa piegarsi sotto il pregiudizio dei precedenti con la legge. Già mi vedo condannata ai lavori socialmente utili, a pulire le strade dopo le feste di paese oppure a far atraversare i bambini davanti alle scuole.
Questo spiacevole spettacolo si interrompe solo da un’altra dipendente del supermercato che va a chiedere al direttore il badge e il prodotto che gli aveva consegnato poco prima che doveva essere sostituito. Assisto a questo passaggio di oggetti in ansia, come durante il passaggio della fiaccola olimpica e magicamente a distanza suona di nuovo il sensore. Ecco la soluzione del mistero.
Penso: giustizia è fatta! non ero io ma quello stronzo del direttore che si stava portando in tasca un prodotto non battuto avanti indietro per il supermercato, ed avvicinandosi alla cassa faceva suonare tutto. Pronta a chiedere i danni per questo imbarazzante malinteso che mi costerà sicuramente qualche seduta di terapia, mi guardo intorno e assumo un atteggiamento di soddisfazione, lo stesso portamento che sfoggiava quando in classe quando quelli dietro di me chiacchieravano e la professoressa guardava nella mia direzione per rimproverarli ma io intanto continuavo a non seguire.
Pensare che tutto questo casino è nato solo perché mi era finito il latte che nell’ultimo periodo manco riesco a digerire ma io non mi sono ancora arresa all’imminente intolleranza al lattosio che sta arrivando insieme agli anni che avanzano.
Intanto le dinamiche del supermercato hanno ripreso a funzionare, nessuno è più spettatore della mia scena imbarazzante e io mi avvio di nuovo verso l’uscita, fiera della mia innocenza ma memore dello sguardo delle persone che mi hanno creduto colpevole. Respiro l’aria di libertà, come un ergastolano il giorno del permesso, e penso che al prossimo compleanno la canzoncina “perché è una brava ragazza” avrà veramente senso perché ogni tanto parcheggio in doppia fila ma sicuramente non rubo nei supermercati.
La prossima volta metterò piede al supermercato solo con telefono, chiavi, soldi, e tessera fedeltà perché nonostante i vostri dubbi io sono una brava ragazza e sarò fedele, pronta a guardare con lo stesso sguardo con cui mi ha consolata il ragazzo della cassa accanto, la prossima vittima di un errore giudiziario della coop - via Oberdan di Bologna.
Se ti piacciono i miei pezzi e non vuoi perdere gli aggiornamenti del blog, ISCRIVITI alla newsletter targata camillastaicalma.
Commenti
Posta un commento